il LestEditoriale
FIRENZE LIBERATA
E
GLI ANNIVERSARI CHE CONTANO
Buon principio di
settimana a tutti, aficionados carissimi.
Come al solito, noi
si apre sto LestEditoriale qua del lunedì tutti contenti e beati,
perché voi lettori, aficionados o occasionalos che siate, aumentate
sempre più, e ogni settimana i numeri dei contatti e delle
visualizzazioni di queste paginette concepite e realizzate a
centinaia e centinaia di chilometri sotto terra, si fanno sempre più
consistenti.
E sempre come al
solito, come la settimana passata e come due settimane fa, noi si
resta incuriositi anzicheno da tutti quei lettori che ci seguono da
fuori Italia. E dopo aver rincorso il lettore indonesiano, dopo aver
rincorso quelli groenlandesi, oggi si vorrebbe sapere chi è che ci
segue dalla Finlandia. E di nuovo vi si invita a dircelo, a
palesarvi, a mandarci un saluto, che l'indirizzo per scriverci lo
trovate come sempre in fondo al post.
Inoltre, vi si
ricorda che questa sarà per noi una cosiddetta settimana corta, nel
senso che il fine settimana venerdì-sabato-domenica il
lestoblog non andrà in onda per ovvia pausa vacanziera di
ferragosto. Tutta la banda del lestobunker in quei giorni si
traferirà sulla lestoluna per far festa con spettacolari grigliate
di pesce innaffiate con vino bianco. Se non avete nulla da fare,
raggiungeteci e veniteci a trovare.
Detto questo,
entriamo nel vivo del discorso, ché oggi non è una giornata
qualsiasi, è l'11 agosto 2014, vale a dire il settantesimo
anniversario della Liberazione di Firenze dall'occupazione
nazifascista.
A noi anniversari e
ricorrenze non è che piacciano molto. C'è un che di ufficialità e
ingessatura che li rende pesanti, rituali, vuoti, che conferisce
all'oggetto da commerare un senso di immobilità, come certi pezzi da
museo, finestre su un passato polveroso senza più anima.
Eppure ci sono
anniversari che contano, che è necessario ricordare. Senza troppe
fanfare e senza troppe cerimonie, ma semplicemente per la loro
importanza nell'attualità che viviamo.
La Liberazione, è
uno di questi.
Conta, eccome,
ricordare quell'11 agosto 1944, quando La Martinella suonata a
Palazzo Vecchio alle 6,45 del mattino diede il segnale per l'inizio
dell'insurrezione generale, e i partigiani arroccati oltrarno si
riversarono dall'altra parte della città occupando Palazzo Medici
Riccardi e instaurando il governo cittadino.
Per capire quel
senso di urgenza e di attualità che c'è nel valore del ricordo
della Liberazione, la cosa più importante e sensata da fare al
momento ci pare quella di consigliarvi di vedere uno splendido video
che vi riportiamo direttamente qui sotto.
Dura appena dieci
minuti, ma in questi dieci minuti spiega tutto molto meglio di
qualunque discorso o conferenza o commemorazione in proposito.
Si intitola Ci
chiamavano ribelli, e fu girato per puro caso da un trio di
documentaristi fiorentini (Federico Micali, Stefano Lorenzi e Teresa
Paoli). Era il gennaio del 2003, Social Forum di Firenze appena
terminato, e i tre autori stavano girando Note dal basso, un
documentario sulle bande musicali di strada. Durante una pausa delle
riprese, lungarno, si avvicinò un anziano signore che iniziò a
parlare con i ragazzi. Fortuna volle che l'operatore non spense la
videocamera, facendo così nascere questo video meraviglioso.
Guardatelo.
L'uomo che parla si
chiama Silvano Sarti, nome di battaglia “Pillo”, della Brigata
Oltrarno poi – dal 9 agosto 1944 – ribattezzata Brigata Potente,
attualmente presidente dell'ANPI provinciale di Firenze.
Dice subito il
Sarti, nei primi minuti di video: se vincevano loro voi 'un vù
c'eri.
Loro,
cioè i fascisti, i repubblichini, gli occupanti nazisti. Voi,
cioè noi,
donne e uomini nati e cresciuti in un paese libero e democratico,
proprio grazie al sacrificio di chi, nascendo e crescendo sotto una
dittatura, libertà e democrazia non l'aveva mai conosciute.
Il
revisionismo, di moda da sempre, ma rafforzato e rinvigorito negli
ultimi vent'anni da un suicida disinteresse istituzionale e non per
la nostra storia più recente, nonché da colossali operazioni
commerciali tipo i libri di Gianpaolo Pansa (Il sangue dei
vinti e via dicendo), vorrebbe
mettere sullo stesso piano fascisti e antifascisti, repubblichini e
partigiani, come attori contrapposti del medesimo dramma. Due parti
che, pur con posizioni ideologiche contrapposte, si batterono
entrambe per la patria.
Ma
leggere la storia d'Italia del biennio '43-'45 in questo senso, è un
colossale abominio.
Come
si può soltanto pensare di poter definire patrioti i
repubblichini, persone che scelsero di appoggiare un occupante
straniero, di appoggiare non tanto Mussolini, quanto un governo
fantoccio in tutto e per tutto rispondente ai diktat hitleriani sul
modello di quello francese di Vichy?
Come
si può soltanto pensare di poter mettere sullo stesso piano chi
scelse di stare dalla parte della libertà e della democrazia e chi
scelse di stare dalla parte della violenza e dell'intolleranza?
Per
i morti, chiunque essi siano, bisogna certo avere pietà. Ma tra
pietà e riabilitazione c'è
una differenza abissale.
C'è
bisogno, semmai, di svincolare la storia partigiana della Liberazione
dai sentieri a volte troppo stretti dell'ideologia e riconoscerle,
finalmente, un valore assoluto. Perché libertà, democrazia,
giustizia, ugugaglianza, cooperazione, sono valori assoluti, di tutti
e per tutti. Valori che non stavano certo da entrambe le parti.
Ma
ricordare la Resistenza non significa soltanto conservare verità e
giustizia storica.
Significa
anche (soprattutto?) interrogarsi sul nostro presente.
Un presente schizofrenico e grigio, dove l'importanza delle persone
si misura in relazione al peso del proprio portafoglio. Un presente
dove conta cos'hai,
non cosa sei. “Il
valore di noi partigiani gli era di non avenne nemmen uno, di soldi
in tasca”, dice il Sarti a
metà video, una frase che forse andrebbe scolpita a caratteri d'oro
nelle nostre coscienze.
Nella
parte finale del video, commuove e fa rabbia il fervore con cui
Silvano Sarti parla dell'intoccabilità della nostra Costituzione,
scritta con il sangue.
Allora oggi, 11
agosto 2014, settantesimo anniversario della Liberazione di Firenze,
interoghiamoci su questo, interroghiamoci su quel sangue, su quel
sacrificio.
Interroghiamoci
sulla nostra Costituzione sempre più presa letteralmente presa a
calci dalle riforme del nostro governo.
E interroghiamoci
pure sul silenzio. Su quella necessità di esserci e di
lottare per cambiare le cose di cui si parla nel video e che
oggi sembra non esserci più. Su quei tre milioni di persone che non
sono più in piazza.
Chiediamoci per
cosa, all'alba di settant'anni fa, da Palazzo Vecchio fu suonata La
Martinella.
Facciamocele per
davvero, queste domande.
Perché chi non ha
memoria, non ha nessun futuro.
Alla prossima,
IL LESTO
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