giovedì 2 ottobre 2014

COME FU CHE I GIULLARI INVENTARONO LA LETTERATURA ITALIANA (Lezioni Minime, Dalle origini al trecento, primo capitolo)

Lezioni Minime - Storia della letteratura italiana

DALLE ORIGINI AL TRECENTO

Primo Capitolo
COME FU CHE I GIULLARI INVENTARONO LA LETTERATURA ITALIANA

Com'è che nel 1200 o giù di lì nacque quella cosa che poi si sarebbe chiamata - e si continua a chiamare, Letteratura Italiana?


Lasciamo stare tutte quelle robe filologiche sull'evoluzione della lingua, del passaggio dal latino alle lingue romanze e via discorrendo, che la nascita della Letteratura Italiana mica c'entrano poi tanto. 
Questo perché quando nasce la letteratura, l'evoluzione linguistica dal latino alle lingue romanze s'era già bella e compiuta da un pezzo, da secoli e secoli, e tutti (ma proprio tutti) parlavano in volgare. 
A saper leggere e scrivere però erano davvero in pochi, pochissimi. Uomini di legge, di chiesa e altri gruppuscoli d'intellettuali. Nessun altro. 
Manco per fare il Re o l'Imperatore era così importante saper leggere e scrivere. Lo stesso Carlo Magno pare fosse completamente analfabeta. 
In ogni caso, chi leggeva e scriveva lo faceva in latino, non in volgare. Al massimo in volgare si redigevano alcuni documenti di tribunale, tipo che so, la sentenza di una disputa tra due contadini per questioni di terreni confinanti, di modo che leggendola ad alta voce i popolani potessero comprenderne l'esito. 
Ma documenti LETTERARI - poesie, poemi, novelle, testi filosofici - no, per quelli c'era il latino. 

Allora com'è che andarono le cose? 
Se non c'entra l'evoluzione della lingua, perché di botto nel 1200 ci si mette a produrre letteratura in volgare? 
Sono due le parole chiave: RELIGIONE e GIULLARI

Prima di tutto la Letteratura Italiana non sarebbe mai nata (di sicuro non sarebbe nata nel 1200) se qualche tempo prima non fosse andata in scena la più grande guerra di repressione religiosa del medioevo. 
Erano i tempi della caccia alle eresie
"Eretico" - ed è bene ricordarlo - originariamente significa "deviante rispetto alla tradizione canonica religiosa". 
Quindi, nel medioevo, i gruppi "eretici" sono tutti quei gruppi cristiani che propongono una interpretazione delle Sacre Scritture e della vita religiosa differente rispetto a quella del Papato, della Chiesa "ufficiale". 
Il perché nel tardo medioevo spuntino come funghi in tutta Europa movimenti ereticali è presto detto: nel corso dei secoli si era compiuto il passaggio della figura del Papa e dei vertici della Chiesa da autorità esclusivamente religiose a entità anche, e soprattutto, politiche. 
Episodi come la lotta per le investiture, i continui conflitti armati con l'Impero per il potere universale e la cosiddetta ideologia teocratica (l'idea cioè di un potere assoluto, politico e religioso, riassunto nella sola figura del Papa), non fanno che dare della Chiesa Romana (che non si chiama ancora Cattolica, nome che prenderà solo dopo il Concilio di Trento, tra il 1545 e il 1563) un aspetto sempre più simile a una gerarchia politica e, di conseguenza, ad allontanarla dal popolo.

Ai tempi, il gruppo eretico più numeroso e organizzato d'Europa era quello dei catari, nome che deriva dal greco (katharos) e significa "puro". 
Essi nacquero e si diffusero soprattutto in Occitania (Francia del sud, attuale Provenza), e per questo sono tuttora noti anche con il nome di albigesi (dalla città Francese di Albi). 
Ma che tipo di dottrina proponevano? Che tipo di lettura delle Sacre Scritture?
E perché si definivano "puri"? Puri rispetto a chi e a che cosa? 
Questo gruppo, basandosi esclusivamente sul Nuovo Testamento (Vangelo e Apocalisse) e interpretando alla lettera alcuni passi del Vangelo, rifiutavano completamente ogni bene materiale e ogni espressione della carne.  Per questo erano anche a favore di una totale abolizione della proprietà privata.
Da questo principio di massima derivò una divisione dualistica del mondo intero, cioè l'idea di un universo diviso nettamente in due parti: da un lato il bene, i puri appunto, dall'altro il male, gli impuri. 
Ed essendo il Papato, e la Chiesa Romana in genere, trasformati in strutture politiche a tutti gli effetti circondati da sfarzi e ricchezze d'ogni sorta, i Catari vedevano nel Papa e nella Chiesa la stessa incarnazione del male

Il successo della propaganda catara in Occitania, tra la fine del 1100 e l'inizio del 1200, fu a dir poco clamoroso. 
Furono soprattutto i ceti sociali più bassi a sposare la dottrina catara, convinti che un loro successo avrebbe portato un livellamento nella distribuzione delle ricchezze. 

Fino al 1179, data in cui Papa Alessandro III convocò il Terzo Concilio Lateranense, l'eresia catara fu sostanzialmente tollerata. 
Ma il Concilio, fortemente preoccupato del numero sempre crescente di adepti che i catari riuscivano ad attirare, finì per condannare in toto il catarismo. 
Ma la vera svolta si ebbe nel 1198, quando fu eletto Papa Innocenzo III, il quale - oltre ad essere un convinto sostenitore della Teocrazia, scatenò un'ondata di vere e proprie crociate contro gli eretici in generale, e contro i catari in particolare. 

In pochi anni, in Occitania, l'esercito papale compì dei massacri senza precedenti. Solo nella cittadina di Bezières, nel 1219, furono uccise oltre 20mila persone. 
Ovvio che dopo simili ondate di violenza, non solo il movimento cataro fu completamente annientato, ma l'intera regione dell'Occitania ne uscì totalmente devastata. 

Ma la domanda, diceva qualcuno, sorge ovviamente spontanea. 
Che cavolo c'entra tutto questo con la letteratura italiana?
C'entra, e di brutto. 
Infatti, nello stesso periodo in cui si sviluppa e si ingrossa il movimento cataro, sempre nella Francia del Sud, in Occitania, assistiamo a una prodigiosa fioritura artistica e letteraria. 
Nascono come funghi i poeti trovatori, quei fantastici scrittori che cantavano l'amor cortese, che nei loro versi celebravano parlavano d'amore come una missione esistenziale, un atto di fede eterna nei confronti della donna amata. Ovviamente in lingua occitana.

Una coincidenza? 
Solo in parte, perché fondamentalmente le coincidenze non esistono, e se esistono non riguardano certo la storia della letteratura. 
Uno dei più grandi poeti trovatori fu Pierre Vidal (1180-1205), che ci racconta proprio come le più belle dame aristocratiche cantate dalla poesia cortese fossero particolarmente interessate all'eresia catara. Non solo. Nella poesia Mos cors s'alegr'e s'ejau ci descrive il ridente borgo occitano di Fanjeaux come un paradiso cortese. E quello stesso borgo era uno dei principali epicentri del movimento dei catari. 
Ovviamente queste non sono propriamente prove che ci dimostrano una connessione tra la poesia dei trovatori e i catari. Anche perché la poesia dell'amor cortese, così ricca di licenze e di allusioni sessuali, si sposava male con la rigida ideologia dei catari. 
Ma si tratta comunque di indizi che ci portano a una conclusione difficilmente contestabile: nella Provenza del tempo c'erano le condizioni sociali ideali per una consistente libertà di pensiero. Libertà di pensiero religioso, che consentiva ai catari di scagliarsi contro il papato, e libertà di pensiero letterario, che permetteva ai poeti di gettarsi in trame particolarmente licenziose. 
E non solo poesia trobadorica e religione catara. Nei principali feudi della Provenza dell'epoca gli ebrei insegnavano liberamente nelle università, i musulmani vivevano pacificamente mescolati al resto della popolazione, le donne erano libere di partecipare a discussioni politiche e di scegliere il proprio compagno di vita. 
Una società quindi, quella occitana, completamente libera e tollerante sotto ogni punto di vista.

Le crociate contro i catari promosse e benedette da Papa Innocenzo III, cambiarono completamente le cose. Non segnarono soltanto la fine del catarismo, ma anche del clima di libera circolazione delle idee di cui la Provenza aveva goduto sino a quel momento. 
Sorge quindi a questo punto un sospetto più che legittimo, vale a dire che i catari furono semplicemente un pretesto, un facile capro espiatorio per un'operazione ben più vasta, che mirava a stroncare e a reprimere l'intera società provenzale
La Chiesa di Roma infatti, non solo distrusse il movimento cataro, ma alleata con il Regno di Francia, sottomise e conquistò tutta la regione della Provenza, che perse per sempre la propria indipendenza diventando a tutti gli effetti territorio francese. 

Fu la fine delle libertà e fu la fine anche della stessa lingua occitana, la cosiddetta langue d'oc, soppiantata forzatamente dalla langue d'oil, vale a dire l'antenata dell'attuale francese.
E finì anche, inevitabilmente, il periodo d'oro della poesia dei trovatori. 
Molti di loro, durante il periodo delle stragi e dei massacri orditi da Innocenzo III e dal Re di Francia, alzarono la propria voce in difesa dei catari. Non perché fossero catari a loro volta, ma proprio perché nella guerra contro i catari vedevano una più generale guerra contro la libertà di pensiero e contro l'indipendenza politica dell'Occitania. 
Servì a poco. Al termine della guerra la fertile e libera Provenza era solo terra bruciata. 

Ora però, la domanda resta sempre la stessa: cosa cavolo c'entra tutto questo con la Letteratura Italiana? 
Ripetiamo che c'entra, eccome se c'entra. 
Le guerre in Provenza durarono circa un quindicennio, concludendosi attorno al 1220 con l'annessione della regione al Regno di Francia. 
I primi documenti letterari in volgare italiano li troviamo proprio a partire da questi anni, 1215-1220 o giù di lì. In parole povere la nascita della Letteratura Italiana va a coincidere con il declino di quella provenzale. 
Coincidenza? No, perché come abbiamo già detto le coincidenze non esistono

Facciamo un passo indietro e torniamo nella Provenza libera e felice, prima delle crociate di Innocenzo III. 
I poeti trovatori, così come le dame cantate nei loro versi, appartenevano tutti, o quasi tutti, all'aristocrazia. Eppure, le loro liriche più famose, erano celebri pure presso il popolo, che mandava spesso e volentieri a memoria i versi più celebri. 
Come cavolo è possibile tutto questo?
Bene la società libera e tollerante, ma pure in Provenza, a quell'altezza cronologica, il popolo era comunque completamente analfabeta
Il mistero si spiega molto facilmente se pensiamo che nella Provenza del tempo, in quel generale clima di libertà e tolleranza, non c'erano soltanto poeti, dame e liberi pensatori, ma anche giullari
Anzi, soprattutto i giullari. Le miniature provenzali dell'epoca raffiguranti scene di vita quotidiana, contengono sempre la figura di uno o più giullari. Una stima effettuata da uno dei più grandi medievalisti di sempre, lo storico francese Faral, conta che in Provenza, all'epoca, ci fossero qualcosa come circa cinquemila giullari

Ma chi erano realmente i giullari? Cosa facevano?
Oggi come oggi noi al termine "giullare" associamo immagini completamente fuorvianti e non rispondenti al vero. Ci viene subito in mente il jolly delle carte col cappello a sonagli, pensiamo al buffone di corte, al comico di professione. 
Di certo i giullari furono anche quello, ma in epoca molto più tarda e in forme del tutto minime e marginali. 
I giullari originariamente erano tutt'altro: erano artisti solitari e completi, poliedrici ed eclettici in grado di poter fare qualsiasi cosa
Nei loro spettacoli, che si svolgevano prevalentemente nelle piazze e nelle osterie, non solo recitavano monologhi, sia seri sia comici, ma suonavano, ballavano, cantavano, eseguivano numeri di giocoleria e acrobazie. Erano, in sostanza, dei veri e propri spettacoli ambulanti viventi, riassumendo nella loro unica persona qualsiasi tipo di competenza artistica. 
Con il crollo dell'Impero Romano e con l'inizio dell'età medievale, il teatro era stato di fatto bandito dal cristianesimo, che vedeva nel teatro e nell'esibizione pubblica del corpo una pratica demoniaca e peccaminosa. 
In tutta Europa così, nel medioevo non esistevano più né teatri (cioè luoghi fisici destinati allo spettacolo) né spettacoli. I giullari erano quindi quelle figure, nella sostanza fuorilegge, che per tutti i secoli del medioevo avevano assicurato la sopravvivenza del concetto di spettacolo. 

Ma i giullari facevano anche altro, svolgevano anche altri compiti. 
Esibendosi principalmente nelle piazze, e facendo di fatto un lavoro irregolare, erano per forze di cose in continuo movimento
Erano, in sostanza, tra le poche figure mobili in una società immobile come quella medievale. 
Per questo motivo svolgevano anche una fondamentale funzione sociale: erano il giornale parlato del popolo. Informavano cioè il popolo sui principali avvenimenti, su ciò che stava accadendo nel borgo vicino, se per esempio era scoppiata una guerra o un'epidemia. 
Non solo. Nel loro repertorio c'era anche la declamazione delle poesie dei poeti trovatori. 
Anzi, a voler essere ancora più precisi, queste poesie i giullari non si limitavano a declamarle: le suonavano e le cantavano, dal momento che la lirica dei trovatori non era soltanto scritta, ma prevedeva sempre un accompagnamento musicale. 
In sostanza i giullari fungevano quindi pure da juke box. Cantavano i pezzi più in voga che poi il popolo memorizzava e cantava a sua volta, contribuendo in maniera decisiva alla diffusione della poesia presso tutti gli strati della società. 

Con lo scatenarsi della guerra in Provenza, i giullari non solo non trovarono più in quella regione le condizioni minime necessarie per svolgere la propria attività, ma finirono a loro volta nel mirino della repressione. 
In molti, moltissimi, si trovarono così costretti a scappare e ad abbandonare forzatamente la Provenza. 
Dove andarono? 
Ovvio che dalla Francia del Sud il luogo più raggiungibile fosse proprio l'Italia. 
Nei primi decenni del 1200 un'autentica massa di giullari provenzali si riversò così nella nostra penisola, dando il via ad una diffusione capillare e senza precedenti della poesia dei trovatori in Italia. 
E creando, di conseguenza, i presupposti per la nascita della Letteratura Italiana. 

A darci la prova della funzione decisiva dei giullari nelle origini della nostra Letteratura, oltre alle numerose fonti documentarie, è proprio l'analisi attenta dei primi testi letterari in volgare italiano, come vedremo - e dimostreremo - nei capitoli successivi.


Giovedì prossimo non perdere:
SECONDO CAPITOLO, Rosa Fresca Aulentissima
Dove si parlerà della diffusione geografica dei giullari in Italia e dove si dimostrerà come una delle poesie più antiche della storia letteraria italiana sia inequivocabilmente opera di un giullare. 

VUOI APPROFONDIRE QUANTO HAI APPENA LETTO?
Ecco alcuni consigli: 
per la storia dei Catari, le massime autorità in materia sono, ovviamente, storici francesi; se conosci bene la lingua, ti consigliamo di cercare in biblioteca i testi di Anne Brenon e Jean Duvernoy; per i testi in italiano ti consigliamo un libro fresco di stampa, dello storico Marco Mason, La crociata contro gli albigesi tra storia, epica e lirica trobadorica, edizioni Il Cerchio;
per una panoramica sulle eresie medievali e sulle azioni di Innocenzo III puoi leggere il libro di Marcello Craveri, L'eresia, edito da Sansoni, e l'opera monumentale di Tuberville Eresie e inquisizione nel medioevo, volume V dell'enciclopedia Storia del mondo medievale
per i giullari, restano insuperabili le opere in materia scritte da Faral, anche se non hanno traduzione italiana; in italiano ti consigliamo il saggio di Luigi Allegri Teatro e spettacolo nel medioevo, edito da Laterza. 

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